A Maggese. Ovvero a riposo dallo spettacolo a tutti i costi e – costi quel che costi – un anno in cui ci mettiamo in ascolto della terra del teatro per prepararci a dare frutto. Un anno di ricognizione per reinnestare le colture che ci piacciono – la confusione dei generi, il convivio come misura dei rapporti umani, l’attore come volano della scena – su quella strana pianta che è la performance – il teatro – e che è il performer la natura pura dell’attore. Lavori che preparano il terreno per gli anni a venire, verso l’ecosistema non il festival che vogliamo.